È successo il 21 gennaio scorso ma soltanto ora, per motivi di indagine che hanno imposto il giusto riserbo sul fatto, siamo in grado di raccontare il grave episodio che ha visto come protagonista un infermiere della Medical Service Assistance.
Quel giorno, il nostro Claudiu Florin Ilie, rumeno di 43 anni, laureato in Scienze infermieristiche, in Italia dal 2005, era di turno nel carcere circondariale di massima sicurezza San Michele, ad Alessandria.

All’inizio, una giornata come tante altre?
Sostanzialmente sì, anche se da un paio di giorni quel detenuto manifestava qualche difficoltà. In particolare, già quello stesso pomeriggio era arrivato in infermeria con un taglio all’addome. Con il medico di guardia gli abbiamo applicato i punti di sutura e, nel frattempo, abbiamo cercato di capire che cosa fosse successo e, a tal fine, abbiamo chiamato lo specialista psichiatra. Quando la situazione è tornata calma, l’abbiamo rimandato nella sua cella.

Quindi aveva già tentato il suicidio quello stesso giorno?
No, si era trattato soltanto di un gesto autolesivo tendente a ottenere qualche beneficio. È una cosa che capita abbastanza frequentemente.

Poi, però, ha fatto sul serio. Come ve ne siete accorti?
Mentre facevo il turno delle terapie serali, sono arrivato nella sezione di quel detenuto e, giunto davanti alla sua cella con la guardia, abbiamo dato un’occhiata all’interno, notando subito che questo giovane aveva un lenzuolo attorno al collo con l’altra estremità attaccata alla finestra. D’istinto abbiamo pensato a un’azione dimostrativa, perciò gli abbiamo detto di scendere, di non fare stupidaggini. Visto che restava lì, abbiamo deciso di entrare, accorgendoci però che la serratura era stata in qualche modo manomessa dall’interno, infilandoci qualcosa dentro.

A quel punto avete capito che non era un’azione dimostrativa.
Esatto. Infatti, quando siamo riusciti a entrare, forse dopo un paio di minuti, il recluso era cianotico e in arresto respiratorio. Abbiamo chiesto all’assistente di chiamare aiuto e, contemporaneamente, lo abbiamo messo in sicurezza facendogli tutte le manovre di soccorso adatte alla circostanza.

Insomma, lei lo ha salvato. Ha notizie di come sta ora?
Purtroppo sì. Diciamo che sta bene ma ha continuato a compiere azioni di disturbo. Ha aggredito ancora le guardie, il personale sanitario. Insomma, una persona difficile anche se, per me, resta pur sempre un paziente.

Nella sua carriera le sarà capitato altre volte di salvare vite.
Molte volte, perché da sempre lavoro in area critica, in sala operatoria, a contatto con casi di estrema urgenza.

Questa è anche una fortuna perché questa specie di abitudine le consente di mantenere la calma nelle situazioni di emergenza.
È così. In questo modo riesci a mantenere la calma e a valutare quale sia la cosa migliore da fare per aiutare la persona che hai davanti, indipendentemente da chi è e da che cosa ha fatto.

Vuol dire che non c’è differenza tra il lavorare in un ospedale o in un carcere?
Francamente non trovo alcuna differenza. Fai la tua attività più o meno nello stesso modo. Semmai, in ospedale, il lavoro può essere diverso a seconda del tipo di reparto nel quale operi mentre nel carcere si tratta di un lavoro più ambulatoriale.